La caccia di Zero

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La caccia di Zero
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LA CACCIA DI ZERO

(UNO SPY THRILLER DELLA SERIE DELL’AGENTE ZERO—LIBRO 3)

J A C K M A R S

Jack Mars

Jack Mars è l’autore bestseller di USA Today della serie di thriller LUKE STONE, che per ora comprende sette libri. È anche autore della nuova SERIE PREQUEL LE ORIGINI DI LUKE STONE, e della serie spy thriller AGENTE ZERO.

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Copyright © 2019 di Jack Mars. Tutti i diritti sono riservati. Fatta eccezione per quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti d'America del 1976, nessuno stralcio di questa pubblicazione potrà essere riprodotto, distribuito o trasmesso in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né potrà essere inserito in un database o in un sistema di recupero dei dati, senza che l'autore abbia prestato preventivamente il consenso. La licenza di questo ebook è concessa soltanto a uso personale. Questa copia del libro non potrà essere rivenduta o trasferita ad altre persone. Se desiderate condividerlo con altri, vi preghiamo di acquistarne una copia per ogni richiedente. Se state leggendo questo libro e non l'avete acquistato, o non è stato acquistato solo a vostro uso personale, restituite la copia a vostre mani e acquistatela. Vi siamo grati per il rispetto che dimostrerete alla fatica di questo autore. Questa è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono il frutto dell'immaginazione dell'autore o sono utilizzati per mera finzione. Qualsiasi rassomiglianza a persone reali, viventi o meno, è frutto di una pura coincidenza.

LIBRI DI JACK MARS

SERIE THRILLER DI LUKE STONE

A OGNI COSTO (Libro 1)

IL GIURAMENTO (Libro 2)

SALA OPERATIVA (Libro 3)

CONTRO OGNI NEMICO (Libro 4)

OPERAZIONE PRESIDENTE (Libro 5)

IL NOSTRO SACRO ONORE (Libro 6)

CASA DIVISA (Libro 7)

SERIE PREQUEL LE ORIGINI DI LUKE STONE

OBIETTIVO PRIMARIO (Libro #1)

COMANDO PRIMARIO (Libro #2)

SERIE SPY THRILLER KENT STEELE

IL RITORNO DELL’AGENTE ZERO (Libro #1)

OBIETTIVO ZERO (Libro #2)

LA CACCIA DI ZERO (Libro #3)

LA TRAPPOLA DI ZERO (Libro #4)

Riassunto del 2’ Libro dell’Agente Zero - (riepilogo da includere nel Libro 3)

Campioni di un antico e letale virus vengono rubati dalla Siberia e rilasciati in Spagna, uccidendo centinaia di persone in poche ore. Nonostante i ricordi dell’Agente Zero sul suo passato come operativo della CIA siano ancora frammentari, viene reintegrato per aiutare a trovare e fermare il virus prima che l’organizzazione terroristica possa scatenarlo negli Stati Uniti.

Agente Zero: Ha recuperato sempre più ricordi sulla sua vita passata come operativo della CIA, in particolare quelli relativi a un piano segreto del governo americano per dare il via a una guerra con losche motivazioni. I dettagli di quello che sapeva due anni prima sono ancora confusi e sbiaditi, ma prima di poter scavare più a fondo ha scoperto che le due figlie sono state rapite dalla sua casa.

Maya e Sara Lawson: Mentre il padre era via, il signor Thompson, loro vicino di casa ed ex agente della CIA aveva ricevuto l’incarico di sorvegliarle. Quando l’assassino Rais ha fatto irruzione, Thompson ha fatto del suo meglio per respingerlo ma è caduto durante la lotta, e Maya e Sara sono state rapite.

Agente Maria Johansson: Ancora una volta Maria si è dimostrata un’alleata indispensabile aiutando a impedire il rilascio del virus del vaiolo. Nonostante la sua ritrovata relazione con Kent abbia toni romantici, rimane una donna piena di segreti. Si è incontrata con un misterioso agente ucraino in un aeroporto a Kiev per discutere della lealtà dell’agente Zero.

Rais: Dopo essere stato sconfitto e lasciato per morto in Svizzera, Rais ha passato diverse settimane in manette in un ospedale per guarire. Avendo a disposizione tutto il tempo necessario, non solo è riuscito a organizzare un’abile e sanguinosa fuga, ma è anche rientrato in America prima della chiusura dei confini internazionali dovuta al virus del vaiolo. In seguito non gli è stato difficile trovare la casa dei Lawson, uccidere l’anziano agente in pensione di guardia e rapire le due figlie adolescenti dell’agente Zero.

Agente John Watson: In quanto membro del team mandato a impedire il rilascio del virus del vaiolo, Watson ha espresso chiaramente il suo disagio con le tattiche troppo rischiose dell’agente Zero. Nonostante ciò, dopo essere riusciti a fermare l’Imam Khalil, i due uomini hanno raggiunto un’intesa e un rispetto reciproco.

Vice Direttrice Ashleigh Riker: Un’ex agente dei servizi segreti che ha fatto carriera all’interno del Gruppo Operazioni Speciali. Riker ha lavorato alle dirette dipendenze del Vice Direttore Shawn Cartwright durante l’operazione per fermare il virus. Non nasconde il suo disprezzo nei confronti dell’agente Zero e delle libertà che l’agenzia gli concede. In seguito all’attacco inaspettato di un altro operativo, Zero ha iniziato a sospettare che Riker sia coinvolta nella cospirazione, e che quindi non ci si possa fidare di lei.

Indice

CAPITOLO UNO

CAPITOLO DUE

CAPITOLO TRE

CAPITOLO QUATTRO

CAPITOLO CINQUE

CAPITOLO SEI

CAPITOLO SETTE

CAPITOLO OTTO

CAPITOLO NOVE

CAPITOLO DIECI

CAPITOLO UNDICI

CAPITOLO DODICI

CAPITOLO TREDICI

CAPITOLO QUATTORDICI

CAPITOLO QUINDICI

CAPITOLO SEDICI

CAPITOLO DICIASSETTE

CAPITOLO DICIOTTO

CAPITOLO DICIANNOVE

CAPITOLO VENTI

CAPITOLO VENTUNO

CAPITOLO VENTIDUE

CAPITOLO VENTITRE

CAPITOLO VENTIQUATTRO

CAPITOLO VENTICINQUE

CAPITOLO VENTISEI

CAPITOLO VENTISETTE

CAPITOLO VENTOTTO

CAPITOLO VENTINOVE

CAPITOLO TRENTA

CAPITOLO TRENTUNO

CAPITOLO TRENTADUE

CAPITOLO TRENTATRE

CAPITOLO TRENTAQUATTRO

CAPITOLO TRENTACINQUE

CAPITOLO TRENTASEI

CAPITOLO TRENTASETTE

CAPITOLO TRENTOTTO

CAPITOLO TRENTANOVE

CAPITOLO QUARANTA

CAPITOLO QUARANTUNO

CAPITOLO QUARANTADUE

CAPITOLO QUARANTATRE

CAPITOLO UNO

Ad appena sedici anni compiuti, Maya Lawson era certa di stare per morire.

Era seduta sui sedili posteriori di un grosso pick-up che sfrecciava lungo la I-95, diretto a sud attraverso la Virginia. Si sentiva ancora le gambe deboli per il trauma e il terrore di quello che aveva subito meno di un’ora prima. Fissava impassibile davanti a sé, con la bocca socchiusa in un’espressione svuotata e sconvolta.

 

Il pick-up era appartenuto al suo vicino, il signor Thompson. Ormai lui era morto, probabilmente ancora steso sulle piastrelle dell’ingresso di casa Lawson ad Alexandria. L’attuale autista del veicolo era il suo assassino.

Seduta accanto a Maya c’era sua sorella minore, Sara, di soli quattordici anni. La ragazzina aveva le gambe raccolte sotto di sé e il corpo stretto al suo. Aveva smesso di piangere, almeno per il momento, ma ogni respiro che emetteva era accompagnato da un basso gemito.

La sorellina non aveva idea di che cosa stava succedendo. Sapeva solo a cosa aveva assistito: un uomo era entrato in casa loro. Il signor Thompson era morto. L’aggressore aveva minacciato di spezzare le ossa di Maya per convincerla ad aprire la porta del bunker che avevano nel seminterrato. Non conosceva i dettagli che invece la ragazza più grande aveva messo insieme. Ma d’altra parte neanche Maya sapeva tutta la verità.

L’unica cosa di cui la Lawson maggiore era certa, o almeno di cui era quasi sicura al cento percento era che presto sarebbe morta. Non aveva idea dei piani dell’autista del pick-up—l’uomo aveva promesso che non avrebbe fatto loro del male se avessero obbedito ai suoi ordini—ma non aveva importanza.

Nonostante l’espressione instupidita, la mente di Maya era freneticamente al lavoro. Ormai contava solo una cosa, e cioè la salvezza di Sara. L’uomo al volante era sveglio e in gamba, ma a un certo punto avrebbe vacillato. Se avessero continuato a fingere obbedienza lui sarebbe diventato compiacente, magari anche solo per un istante, e in quel momento Maya avrebbe agito. Non aveva ancora chiaro che cosa avrebbe fatto, ma sarebbe dovuta essere un’azione diretta, spietata e debilitante. Doveva dare a Sara l’occasione per scappare, per mettersi al sicuro, raggiungere altre persone e un telefono.

Con ogni probabilità il gesto le sarebbe costato la vita. Ne era consapevole.

Un altro lieve singhiozzo lasciò le labbra della sorellina. È sotto shock, pensò Maya. Ma poi il suono si trasformò in un mormorio e capì che Sara stava cercando di parlare. Chinò il capo verso la sua bocca per sentire la fioca domanda.

“Perché ci sta succedendo tutto questo?”

“Shh.” Le strinse la testa al petto e le accarezzò gentilmente i capelli. “Andrà tutto bene.”

Se ne pentì non appena l’ebbe detto; era una frase inutile, qualcosa che la gente diceva quando non aveva nient’altro da offrire. Era chiaro che erano nei guai, e non poteva prometterle che sarebbe finita bene.

“I peccati del padre.” L’uomo al volante parlò per la prima volta da quando le aveva costrette a salire sul furgone. Lo disse con tono noncurante e una calma spaventosa. Poi a voce più alta continuò: “Quello che vi sta succedendo è stato causato delle azioni e delle decisioni prese da Reid Lawson, altrimenti noto come Kent Steele, conosciuto a molti altri con il nome di agente Zero.”

Kent Steele? Agente Zero? Non aveva idea di che cosa stesse parlando quell’uomo, l’assassino che si chiamava Rais. Quello che invece ormai aveva capito era che suo padre era un agente al soldo di qualche agenzia governativa, l’FBI, o forse la CIA.

“Mi ha tolto tutto.” Rais guardava dritto davanti a sé verso la strada, ma il suo tono era di puro odio. “Ora io farò lo stesso a lui.”

“Ci troverà,” rispose Maya. Parlò a bassa voce, non piena di sfida ma come se stesse semplicemente esponendo un fatto. “Verrà a cercarci e ti ammazzerà.”

L’assassino annuì come se fosse d’accordo con lei. “Verrà a cercarvi, questo è vero. E cercherà di uccidermi. Ci ha già provato due volte lasciandomi per morto… una volta in Danimarca e una ancora in Svizzera. Lo sapevi?”

Lei non disse nulla. Aveva sospettato che il padre fosse stato coinvolto nell’attentato terroristico sventato un mese prima, a febbraio, quando una fazione radicale aveva cercato di far saltare per aria il World Economic Forum a Davos.

“Ma io sopporto,” continuò Rais. “Capisci, mi era stato fatto credere che uccidere tuo padre fosse il mio destino, ma mi sbagliavo. È il mio fato. Sai che differenza c’è?” Sbuffò piano. “Certo che no. Sei solo una bambina. Il destino è composto dagli eventi che dobbiamo compiere. Possiamo controllarlo e direzionarlo. Il fato, invece, è al di là delle nostre possibilità. È determinato da un altro potere, uno che non possiamo comprendere del tutto. Penso che non mi sia permesso di morire fino a quando non avrò messo fine alla vita di tuo padre.”

“Tu sei Amun,” disse Maya. Non era una domanda.

“Lo ero, un tempo. Ma Amun non esiste più. Ora io solo sopporto.”

L’assassino aveva confermato quello che lei aveva temuto, che era un fanatico, indottrinato dal gruppo terroristico simile a una setta chiamato Amun per credere che le sue azioni fossero giustificate, e persino necessarie. Maya era dotata di una pericolosa combinazione di intelligenza e curiosità e aveva letto molto sull’argomento del terrorismo e del fanatismo in seguito al bombardamento di Davos e ai suoi sospetti sul coinvolgimento del padre nella distruzione dell’organizzazione.

Aveva imparato che un uomo di quel tipo non si sarebbe fatto influenzare da suppliche, preghiere o scongiuri. Non avrebbe potuto fargli cambiare idea, e sapeva anche che non si sarebbe fatto problemi a fare del male a delle bambine. Quella scoperta non fece altro che rafforzare la sua decisione. Avrebbe dovuto agire non appena ne avesse avuto occasione.

“Devo usare il bagno.”

“Non m’importa,” rispose Rais.

Maya si accigliò. Una volta era riuscita a sfuggire a un membro di Amun su un pontile nel New Jersey fingendo di dover andare in bagno—non aveva creduto neanche per istante che si fosse trattato di membri di una gang come le aveva raccontato il padre—e in quel modo era riuscita a mettere Sara al sicuro. In quel momento era l’unica cosa a cui riusciva a pensare che concedesse loro un minuto da sole, ma la sua richiesta era stata respinta.

Viaggiarono per diversi minuti in silenzio, diretti a sud sull’autostrada. Maya accarezzava i capelli della sorella minore. La ragazzina sembrava essersi calmata e non piangeva più, ma forse aveva solo finito le lacrime.

Rais mise la freccia e curvò verso l’uscita. Lei sbirciò fuori dai finestrini e provò una piccola scintilla di speranza: si stavano per fermare in una stazione di sosta. Era minuscola, poco più di un’area da picnic circondata da alberi e un piccolo edificio basso con dei bagni, ma almeno era qualcosa.

Gli avrebbe permesso di usare il bagno.

Gli alberi, pensò lei. Se Sara riesce a nascondersi nel bosco, forse può distanziarlo.

Rais parcheggiò il pick-up e lasciò il motore acceso per un momento mentre studiava l’edificio. Maya fece lo stesso. C’erano altre due macchine, due case mobili parcheggiate in parallelo rispetto al palazzetto, ma non si vedeva anima viva. Davanti ai bagni e sotto una tettoia c’erano un paio di distributori automatici. Con sgomento notò anche che non c’erano telecamere, o almeno nessuna visibile, nei dintorni.

“Il bagno delle donne è sulla destra,” disse l’assassino. “Ti accompagno. Se provi a gridare o chiamare qualcuno, li ammazzerò. Se fai anche il più piccolo gesto o segnale a chiunque per comunicare che c’è qualcosa che non va, li ammazzerò. Il loro sangue sarà sulle tue mani.”

Sara aveva ripreso a tremare tra le sue braccia. Maya le strinse le spalle.

“Voi due vi terrete per mano. Se vi separate, farò del male a Sara.” Si girò per guardarle, fissando Maya in particolare. Aveva già indovinato che tra le due, era più probabile che lei gli desse dei problemi. “Mi avete capito?”

Maya annuì, distogliendo lo sguardo dai suoi selvaggi occhi verdi. Erano cerchiati di nero, come se non dormisse da diverso tempo, e i suoi capelli scuri erano tagliati corti in cima alla testa. Non sembrava tanto vecchio, di certo era più giovane di loro padre, ma non riusciva a capire quanti anni avesse.

Teneva in mano una pistola nera, la Glock che era stata in casa loro. Maya aveva cercato di usarla su di lui dopo che aveva fatto irruzione, e l’uomo gliel’aveva presa. “Questa sarà in mano mia, e io la terrò in tasca. Ti ricordo di nuovo che se causi problemi a me, li causi a tua sorella.” Indicò Sara con il capo. La ragazzina piagnucolò piano.

Rais uscì per primo dal pick-up, infilandosi la mano e l’arma nella tasca della giacca nera. Poi aprì la porta posteriore del veicolo. Maya emerse con gambe tremanti e appoggiò i piedi sul cemento. Tese una mano verso Sara e l’aiutò a uscire.

“Andate.” Le ragazze camminarono davanti a lui dirette verso il bagno. Sara rabbrividì; era la fine di marzo in Virginia e quindi la temperatura stava iniziando ad alzarsi, ma era ancora sui dieci o quindici gradi, ed entrambe erano in pigiama. Maya aveva un paio di infradito ai piedi, pantaloni di flanella a righe e una canottiera nera. Sua sorella portava scarpe da ginnastica ma niente calzini, pantaloni del pigiama in popeline decorati con disegni di ananas, e una delle magliette del padre, che era praticamente uno straccio tinto a nodi con il logo di una band che nessuna delle due aveva mai sentito.

Maya girò la maniglia ed entrò in bagno per prima. Istintivamente arricciò il naso per il disgusto; il posto puzzava di urina e muffa, e il pavimento era bagnato per via di un tubo del lavello che perdeva. Attirò comunque Sara dentro la toilette.

Nella stanza c’era una sola finestra, un vetro smerigliato in alto sul muro che sembrava si sarebbe spalancato con una sola spintarella. Se fosse riuscita a sollevare la sorella fino a lì e a farla uscire, avrebbe potuto distrarre Rais fino a che Sara…

“Datevi una mossa.” Sussultò quando l’assassino entrò nel bagno dietro di loro. Il cuore le sprofondò sotto i piedi. Non le avrebbe lasciate da sole neanche per un minuto. “Tu vai là.” Indicò il secondo dei tre camerini a Maya. “Tu, là.” Indicò il terzo a Sara.

Lei lasciò la mano della sorella ed entrò nel cubicolo. Era lurido; non lo avrebbe voluto usare nemmeno se avesse dovuto urinare per davvero, ma almeno doveva fingere. Fece per chiudere la porta ma Rais glielo impedì con il palmo della mano.

“No,” le disse. “Lasciala aperta.” E poi le diede la schiena, voltandosi verso l’uscita.

Non vuole correre nessun rischio. Si sedette lentamente sul coperchio chiuso del gabinetto e si soffiò sulle mani. Non poteva fare niente. Non aveva armi contro di lui. L’assassino aveva un coltello e due pistole, una delle quali era attualmente stretta nella sua mano, nascosta in una tasca della giacca. Avrebbe potuto tentare di aggredirlo per far scappare Sara, ma stava bloccando la porta. Oltretutto aveva già ucciso il signor Thompson, un ex Marine grande e grosso contro cui la maggior parte delle persone non avrebbe osato alzare un dito. Quante chance avrebbe avuto lei?

Sara singhiozzò nel cubicolo accanto al suo. Non è il momento giusto per agire, lo capiva. Ci aveva sperato, ma avrebbe dovuto aspettare.

All’improvviso sentì un cigolio rumoroso. Qualcuno aveva aperto la porta del bagno e una voce femminile sorpresa esclamò: “Oh! Chiedo scusa… Sono nel bagno sbagliato?”

Rais si fece da parte, allontanandosi dal suo cubicolo e dal capo visivo di Maya. “Chiedo scusa, signora. No, è nel posto giusto.” La sua voce assunse subito un affettato tono di cortesia. “Le mie due figlie sono qui dentro e… beh, forse sono un po’ troppo protettivo, ma non si è mai troppo cauti di questi tempi.”

A quella menzogna il petto di Maya si gonfiò di rabbia. L’idea che l’uomo che le aveva strappate dal padre osasse fingersi lui le colorò il volto per l’ira.

“Oh, capisco. Tanto devo solo usare il lavello,” disse la donna.

“Ma certo.”

La ragazza sentì le scarpe ticchettare sulle piastrelle, e poi la sconosciuta apparve davanti alla sua porta. Le dava le spalle mentre girava la manopola difettosa. Sembrava una donna di mezza età, con capelli biondi lunghi fino alle spalle e abiti eleganti.

“Non posso dire di biasimarla,” stava dicendo a Rais. “Normalmente non mi fermerei mai in un posto del genere, ma mi sono versata addosso il caffè lungo la strada e, uhm…” Si interruppe quando guardò allo specchio.

Nel riflesso aveva visto la porta del cubicolo aperta e Maya seduta sopra il gabinetto chiuso. La ragazza non aveva idea di che aspetto avesse—con i capelli spettinati, le guance gonfie di pianto e gli occhi arrossati—ma poteva immaginare di essere motivo d’allarme.

 

Lo sguardo della sconosciuta si spostò da Rais all’immagine nel vetro. “Uhm… non potevo viaggiare per un’altra ora e mezza con le mani appiccicose…” Si lanciò uno sguardo alle spalle, senza spegnere l’acqua, e mimò silenziosamente due parole a Maya.

Stai bene?

A lei tremarono le labbra. La prego non mi parli. Non mi guardi nemmeno. Scosse piano la testa. No.

Rais doveva essersi girato di nuovo verso la porta, perché la donna rispose con un movimento del capo. No! pensò disperatamente Maya. Non aveva cercato il suo aiuto.

Voleva solo evitare che facesse la stessa fine di Thompson.

Fece un cenno verso di lei e le disse in silenzio una parola. Vada. Vada.

La sconosciuta si accigliò, con le mani gocciolanti d’acqua. Lanciò di nuovo un’occhiata a Rais. “Immagino che sarebbe troppo chiederle qualche asciugamano di carta, eh?”

Lo disse con un po’ troppa veemenza.

Poi alzò il pollice e il mignolo verso Maya, come a mimare un telefono. Sembrava le volesse dire che avrebbe chiamato qualcuno.

La prego, vada via.

Mentre la donna si voltava verso la porta, Rais fece un movimento tanto rapido da risultare impercettibile. Successe così in fretta che all’inizio Maya pensò di aver avuto le traveggole. La bionda si paralizzò, sgranando gli occhi per lo shock.

Un sottile getto di sangue fuoriuscì dalla sua gola squarciata, spruzzando lo specchio e il lavandino.

La ragazza si strinse entrambe le mani sulla bocca per soffocare il grido che le si alzò dalle labbra. La donna cercò di chiudersi la gola ma non c’era modo per riparare il danno che aveva subito. Il sangue le scorse in rivoli tra le dita e lei cadde sulle ginocchia, emettendo un gorgoglio.

Maya strinse forte gli occhi, continuando a pigiarsi la bocca. Non voleva guardare. Non voleva vedere quella donna che moriva a causa sua. Respirò in lunghi singulti tremanti. Dal cubicolo accanto sentì Sara piangere piano.

Quando osò riaprirli, la donna sembrava fissarla. Aveva una guancia appoggiata sul pavimento sporco e bagnato.

La pozza del sangue che le era colato dalla ferita le raggiungeva quasi i piedi.

Rais si chinò per pulire il coltello sulla camicetta della morta. Quando alzò lo sguardo su Maya, non c’era né rabbia né turbamento nelle sue iridi verdi. C’era solo delusione.

“Ti avevo detto che cosa sarebbe successo,” disse a bassa voce. “Hai cercato di farle un segno.”

Le lacrime le annebbiarono la vista. “No,” riuscì a rispondere tra i singhiozzi. Non riusciva a controllare il tremito delle labbra, né quello delle dita. “Non ho…”

“Sì,” la interruppe lui calmo. “L’hai fatto. Il suo sangue è sulle tue mani.”

Maya cominciò a iperventilare. Respirava in ansimi strozzati. Si sporse in avanti per mettere la testa tra le ginocchia, con gli occhi stretti e le dita tra i capelli.

Prima il signor Thompson e poi quella sconosciuta innocente. Erano morti entrambi perché le si erano avvicinati troppo, perché avevano cercati di opporsi a quel maniaco. E lui aveva già dimostrato due volte di essere disposto a uccidere per raggiungere il suo obiettivo.

Quando finalmente riprese il controllo di sé e alzò lo sguardo, Rais aveva preso la borsa nera della donna e stava controllando il contenuto. Lo guardò estrarre un telefono e togliergli la batteria e la carta SIM.

“Alzati,” le ordinò poi entrando nel suo cubicolo. Lei obbedì in fretta, spingendosi contro la parete metallica e trattenendo il fiato.

Rais scaricò la batteria e la carta nel gabinetto. Si voltò verso di lei, ad appena pochi centimetri di distanza nello spazio stretto. Maya non riusciva a incontrare il suo sguardo, e invece gli fissò il mento.

L’uomo le fece dondolare qualcosa davanti al volto: le chiavi di un’auto.

“Andiamo,” disse piano. Uscì dallo spazio ristretto, camminando senza alcuna esitazione in mezzo alla pozza di sangue per terra.

Maya batté le palpebre. Non si erano fermati perché lei potesse andare in bagno. Non era stata una dimostrazione di umanità da parte dell’assassino. Era stato solo un modo per liberarsi del pick-up di Thompson. Perché la polizia lo sta cercando.

Almeno sperava che fosse così. Se suo padre non era ancora tornato, era improbabile che qualcuno si fosse accorto della loro scomparsa.

Avanzò con cautela per evitare il sangue, e per non guardare troppo a lungo il cadavere sul pavimento. Si sentiva le membra di gelatina. Era debole e impotente contro quell’uomo. Tutta la determinazione che aveva radunato solo qualche minuto prima in auto si dissolse come zucchero nell’acqua bollente.

Prese Sara per mano. “Non guardare,” le sussurrò, e guidò la sorellina attorno al corpo. Sara fissò il soffitto, prendendo profondi respiri con la bocca. Aveva le guance macchiate di lacrime fresche. Il suo volto era bianco come un foglio di carta e le sue dita erano fredde e bagnate di sudore.

Rais aprì la porta del bagno di qualche centimetro per controllare l’esterno. Poi alzò una mano. “Aspettate.”

Maya sbirciò oltre di lui e notò un uomo in carne con un cappellino da camionista uscire dalla toilette dei maschi, asciugandosi le mani sui jeans. Strinse Sara a sé, cercando istintivamente di riordinarsi i capelli scompigliati.

Non poteva lottare contro quell’assassino, non senza un’arma. Non poteva cercare l’aiuto di uno sconosciuto, o gli avrebbe fatto fare la stessa fine della donna morta alle loro spalle. Aveva solo una possibilità: doveva aspettare e sperare che il padre le trovasse… e lui avrebbe potuto riuscirci solo avendo un’idea di dove fossero, ma non c’era modo per lasciargli un messaggio. Non c’era niente che poteva usare come traccia o indizio.

Pettinandosi i capelli trovò un nodo e si strappò qualche filo scompigliato. Scosse la mano e li lasciò cadere lentamente a terra.

I capelli.

Aveva i capelli. E sarebbero stati testati in laboratorio, era una normale procedura della scientifica. Sangue, saliva e capelli. Erano tre cose che dimostravano la sua presenza, e che al momento in cui le aveva lasciate lì era ancora viva. Quando le autorità avessero trovato il pick-up di Thompson, avrebbero anche scoperto il cadavere della donna e avrebbero prelevato campioni. Avrebbero trovato i suoi capelli. Suo padre avrebbe capito che erano state lì.

“Muovetevi,” ordinò loro Rais. “Fuori.” Tenne la porta perché le due ragazze, tenendosi per mano, potesse uscire. Le seguì, guardandosi attorno un’ultima volta per accertarsi che non ci fosse nessuno. Poi estrasse la pesante Smith & Wesson del signor Thompson e la roteò tre le dita. Con un unico gesto fluido, sferrò un colpo con il calcio per spezzare la maniglia del bagno.

“La macchina blu.” Indicò il mezzo con il mento mettendo via la pistola. Le ragazze si diressero piano verso la berlina parcheggiata a poca distanza dal pick-up di Thompson. La mano di Sara tremò nella sua, ma forse era quella di Maya a scuoterle entrambe, non ne era certa.

Rais manovrò l’auto per uscire dalla piazzola e rimettersi in viaggio sulla strada, ma non più verso sud, la direzione che avevano seguito prima. Tornò indietro muovendosi verso nord. Maya capì che cosa stava facendo. Quando le autorità avessero trovato il pick-up di Thompson, avrebbero pensato che avesse continuato per la stessa strada. Avrebbero cercato l’assassino, e loro due con lui, nel posto sbagliato.

Si strappò qualche capello e lo lasciò cadere a terra nella macchina. Lo psicopatico che le aveva rapite aveva ragione su una cosa: il loro fato sarebbe stato determinato da un altro potere, rappresentato da Rais. Ed era qualcosa che lei non capiva appieno.

Avevano solo un modo per evitare qualsiasi cosa quell’uomo avesse in serbo per loro.

“Papà verrà a salvarci,” sussurrò all’orecchio della sorella. “Ci troverà.”

Cercò di sembrare più sicura di quanto non si sentisse.